Il Castello di Poggio Catino e lo studio della presunta scena del crimine – STUDY CENTER for LEGALITY SECURITY and JUSTICE
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Il Castello di Poggio Catino e lo studio della presunta scena del crimine – STUDY CENTER for LEGALITY SECURITY and JUSTICE


La presunta “scena del crimine” vale a dire il luogo dove sarebbe stato ritrovato lo scheletro, è situata all’interno del castello di Poggio Catino e più precisamente nella parte più alta della rocca. Ci è apparso quindi necessario effettuare preliminarmente uno studio accurato del castello di Poggio Catino, delle sue origini e del suo sviluppo architettonico. Podium de Catini (Poggio Catino) secondo diverse fonti storiche nacque a seguito di un’operazione di incastellamento di un insediamento sparso situato vicino al “Castrum di Catino”  voluta dall’Abbazia di Farfa per rendere più efficiente il proprio sistema difensivo e per accogliere una popolazione più consistente non avendo Catino la possibilità di un ampliamento urbanistico vista la difficile orografia del suo posizionamento (dinamica su cui, come anzidetto in un capitolo precedente, gli autori del presente saggio non concordano appieno). Notizie storiche circa la sua nascita sono riportate nel Regesto Farfense (IV – Doc. 809–An. 1047 – 1089, pag. 211) e nel Chronicon Farfense (II – pag. 122) di Gregorio da Catino. Fra i beni che l’Abbazia acquista esiste anche il “‘Podium” e su questo colle Bernardo I costruì il nuovo Castello verosimilmente nel decennio 1070 – 1080.

Nel libro di G. Marocco, Monumenti dello Stato Pontificio e relazione topografica, edito a Roma, nel 1833 (Tomo Il, ad vocem Poggio Catino, pp. 19–20) troviamo la seguente descrizione (riportata integralmente con quelli che potrebbero sembrare ora degli errori ortografici ma che sono legati alla scrittura antica):

«…Questo luogo dona il titolo di Marchesato all’ illustre famiglia Olgiate, titolo stabilito da Clemente VILI li 13 agosto 1596 a favore dÉ signori di esso castello con assoluta autorità e dominio” L’arcipretura e chiesa parrocchiale dedicata a San Nicola di Bari è«posta da un lato del palazzo baronale Olgiate, abbastanza vasto, poiché vi sono quattro appartamenti l’uno dall’altro ordinatamente divisi, cui è contiguo un vago giardino. Le strade interne sono un poco scoscese, ma il breve tratto di quella del sunominato Borgo è piana, e molto decente. L’unione del fabricato di tutto il castello forma il suo muro di circonferenza, e reca nel suo totale la figura di un cembalo, avente però quattro torrioni all’intorno, come dietro la chiesa parrocchiale osservansi le vestigia di un “antico fortino”…».

In pratica tutto l’abitato del centro storico di Poggio Catino avrebbe in passato costituito “il castello”. Da questa sommaria descrizione, risalente alla prima metà dell’Ottocento, si comprende infatti che l’abitato è delimitato da una cinta muraria in alcuni tratti costituita anche dalle mura delle abitazioni, che ricorda la forma di un cembalo, strumento musicale vicino per forma e meccanica al pianoforte.

Il perimetro di questa cinta è segnato da quattro torri benché le indagini svolte permettano l’individuazione di cinque torri (a sezione circolare) e strutture salienti, anche per gli accessi, secondo spezzate ed avanzate. Da notare come la più antica rocca, posta sulla sommità del rilievo, lambita e collegata alle mura, più tarde, sia interpretata dal Marocco come “antico fortino”, con espressione sette–ottocentesca. Sul testo V. Stazi Fabrizi, Mille anni di storia di Catino e Poggio Catino, stampato nell’anno 2002, ed edito a cura dell’Associazione culturale “Oltre il Ponticello” unitamente alla Pro Loco di Poggio Catino ha riguardato, scrive Raffele Ricci, la trascrizione dell’opera di V. Stazi Fabrizi (Catino 1864 – Poggio Mirteto 1935); Silvano Soavi, inoltre, «ha curato la pulizia delle tavole e ridato colore agli stemmi, così come ricorda di averli visti nell’originale dell’opera mai finito».

Ed infatti, ai fini dell’indagine, il contributo più importante di questa stampa è proprio la tavola che propone una veduta naif di Poggio Catino preso da ovest nonché una planimetria dell’abitato entrambe corredate da didascalie nonché dalla dizione “Poggio Catino, prospetto e pianta verso l’anno 1500”.

Non è del resto indicato da quale documentazione V. Stazi Fabrizi tragga questi elementi che del resto appaiono abbastanza verosimili e in buona parte confermati dalle tracce materiali oggi esistenti e verificate mediante ispezione in loco. Tale contributo sì è rivelato importante per la individuazione del tracciato delle mura e della “rocca”, seppur ristrutturata, evidentemente precedente alle mura stesse.

Interessante notare l’autonomia del fabbricato della “rocca” rispetto all’entità “castello”: con quest’ultimo termine, infatti, con una terminologia più tarda rispetto a quella pienamente medioevale, viene chiaramente indicato tutto il borgo fortificato e la tavola, alla lettera H, individua le “mura forse doppie dette La Scarpa che circondano tutto il castello”. La parola “castello” può riferirsi ad una ampia varietà di strutture, dall’antichità al secolo XVII; assume significati che variano sia in relazione al contesto geografico sia in relazione al contesto cronologico documentale in cui la stessa è impiegata, sia in relazione alla permanenza o trasformazione linguistica in una data compagine culturale. Già prima della evoluzione architettonica moderna, “castello” diviene pertanto e soprattutto se circondato da mura, l’abitato fortificato nel suo complesso all’intimo del quale persiste, evoluta nelle forme od abbandonata, la primitiva fortificazione difensiva, pienamente medioevale.

Frequentemente nel tardo medioevo, persistendo nei secoli seguenti, “castello” è un gruppo di edifici strettamente connesso alla fortificazione preesistente, un gruppo di case arroccato su uno sperone roccioso le cui mura esterne fungono da cinta fortificata. L’antica fortificazione in cui potevano essere esercitati i poteri feudali si distingue dal più tardo abitato fortificato – generalmente non urbano – in cui possono trovarsi edifici palaziali; essa spesso è denominata “rocca” (od anche “cassero” in Toscana) e funge da ultimo ricetto militare o da residenza qualora ne siano stati modificati i caratteri. Dalla “rocca”, se non direttamente dalla fortificazione più antica, in molte aree geografiche si giunge a strutture fortificate ed alla fortezza alla moderna, tecnicamente e balisticamente molto più evoluta nonché in corsa con l’evoluzione delle tecniche ossidionali.

Sulla scorta di quanto analizzato, come in altre realtà, a Poggio Catino si possono distinguere alcuni poli di interesse: almeno dalla metà del Cinquecento si distinguono la rocca, l’ampio palazzo baronale, l’annesso giardino alla italiana, le mura costituite anche dalle stesse abitazioni che seguono i dislivelli e terrazzamenti naturali, alcune torri e sicuramente strutture d’accesso salienti o turrite.

Il castello di Poggio Catino è comunque una struttura abbastanza complessa che nel corso dei secoli ha subito numerose modifiche e ampliamenti. La parte più alta, completamente scoperta (chiamata “la rocca”), sarebbe il luogo di ritrovamento dello scheletro.

In particolare, il punto di ritrovamento dello scheletro della Dama sarebbe stato a ridosso di uno dei muri di cinta. Il castello attualmente versa in condizioni vergognose e purtroppo non dissimili da molte altre fortificazioni, non solo ruderi, di cui è cosparso il Bel Paese. Con gli agenti atmosferici e con il semplice passare del tempo le mura e le altre strutture interne si stanno sgretolando. Una quindicina di anni fa fu pietosamente depositato un sottile strato di calcestruzzo sulla parte superiore delle mura per cercare di ridurre la caduta inesorabile delle pietre e lo sfaldamento dei muri. Ma per il resto questa meravigliosa fortificazione viene da anni lasciata al suo destino. Basterebbero poche decine di migliaia di euro per metterla in sicurezza e per combattere efficacemente l’opera distruttiva del tempo ma questa importante esigenza di tutela delle nostre radici storiche non viene evidentemente compresa o considerata necessaria dalle istituzioni.

In alcuni luoghi europei, come in Germania Francia o Inghilterra, alcuni ruderi assai meno appariscenti e prestigiosi del castello di Poggio Catino vengono tenuti con religiosa cura e vengono visitati da migliaia di persone ogni anno che, tra l’altro, portano introiti economici rilevanti ai paesi che li ospitano. E questa è esperienza comune. A titolo esemplificativo, il castello di Tintagel in Gran Bretagna, che la leggenda colloca come la famosa “Camelot” della saga di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda, è costituito in realtà da pochi ruderi e da qualche muretto in pietra. Il castello di Tintagel è stato visitato anni fa dagli autori del presente saggio con una conseguente forte delusione. Nulla a che vedere con il castello di Poggio Catino che possiede strutture più imponenti e che ha molto più fascino. Perché allora lasciare lentamente morire una testimonianza storica così affascinante che potrebbe portare lustro e indotto economico (turistico)? Perché ogni anno il castello di Tintagel viene visitato da migliaia di appassionati turisti che spendono i loro soldi nelle decine di negozi di souvenirs, che mangiano e bevono nei tanti locali ispirati ai cavalieri di re Artù e che quindi “mantengono” quasi tutta la popolazione della cittadina, mentre il castello di Poggio Catino è conosciuto praticamente solo dagli abitanti del paese e da una ristretta cerchia di studiosi di storia medievale?  Ma torniamo al castello di Poggio Catino.

Alcuni crimini, forse, possono esservi avvenuti, evidentemente e forse gravi rispetto all’uccisione di una donna ma non per questo non in grado di provocare sdegno negli uomini di buona volontà. Intorno agli Anni Settanta del Novecento, ad esempio, la proprietà del castello e dell’annesso palazzo nobiliare era stata acquisita da una ricca attrice francese, tal Yvonne Fourneaux che fece effettuare diversi lavori di ristrutturazione e in seguito la proprietà del castello passò a una ricca americana, che all’interno del bastione centrale ha fatto costruire con disinvoltura una orribile costruzione abusiva in tufo, addossata e cementata al muro medievale e che contiene dei cassoni per l’acqua in eternit (attualmente in disuso).

In seguito, intorno agli Anni Ottanta, uno degli ex sindaci del paese, Emeraldo De Felice, per realizzare delle case popolari con struttura in cemento armato da concedere presumibilmente ad alcune famiglie del luogo, ha fatto abbattere una parte annessa al castello di epoca medievale che conteneva antichi locali destinati forse a carcere e ad altri servizi dell’epoca. Gli anziani del paese raccontano che in tali locali demoliti ci fossero addirittura iscrizioni e graffiti di epoca medievale. Il progetto di realizzare case popolari venne in seguito bloccato e la costruzione moderna (addossata al lato sud del castello) ospita ora il centro congressi “la Dama Bianca”, uno stridente locale moderno scarsamente utilizzato destinato ad incontri e conferenze.

Auspichiamo che le prossime generazioni di amministratori pubblici possano tentare di salvare e di valorizzare ciò che rimarrà dell’inestimabile patrimonio che la storia italiana ci ha lasciato e che sovente viene lasciato deteriorarsi.


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